Kind of Blue

9 Marzo 2019

L’inizio del jazz modale

Cinquantaduesima strada di New York: cos’ha di così particolare una traversa di Manhattan per essere diventata un’icona nel mondo della musica? Semplice: tra gli anni ’30 e gli anni ’50 qui, proprio lungo la Cinquantaduesima strada, si trovavano i jazz club più importanti al mondo e, grazie a questo, qui si trovavano i migliori jazzisti del mondo.

Ribattezzata la strada del jazz, ogni sera presentava spettacoli di musica jazz dei più grandi artisti del panorama mondiale del genere, come Billie Holiday, Benny Goodman, Charlie Parker, John Coltrane, Dizzy Gillespie, Miles Davis e moltissimi altri. Proprio sull’ultimo nominato, Miles Davis, mi soffermerò in questo articolo.

Miles Davis, nato nell’Illinois ma trasferitosi non ancora ventenne a New York, fin dagli esordi era considerato uno dei migliori musicisti al mondo: non solo per la sua tecnica nel suonare la tromba, ma anche per le sue melodie, riconosciute universalmente tra le migliori improvvisazioni di sempre.

A New York in quegli anni spopolava il bebop, sotto-genere del jazz sviluppato da due innovatori musicali come Charlie Parker, sassofonista, e Dizzy Gillespie, trombettista. Dopo aver suonato diversi anni insieme, i due decisero di separarsi: proprio in questo momento Miles Davis incontrerà Charlie Parker, che lo inviterà ad unirsi al suo gruppo.

L’esperienza con Bird (il soprannome che veniva dato a Parker) fece maturare moltissimo Davis, al punto che, una volta terminata l’attività lavorativa con Parker, decise di sperimentare al di fuori dei canoni del jazz di allora: dopo aver portato al successo il cool jazz, creò e divenne il maggior esponente del jazz modale.

Milestones, uscito nel 1958, fu il primo album di questo nuovo genere musicale, anche se l’opera più importante è Kind of Blue: influenzato dagli studi intrapresi dal pianista George Russell, attraverso lo studio della sua opera Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization – che influenzerà anche il pianista Bill Evans – e a vari avvenuti tra i due, questo album è la pietra miliare del genere, oltre ad essere uno degli album meglio riusciti nella storia del jazz.

Oltre a Miles Davis, gli artisti presenti in questo album sono Julian Adderley, John Coltrane, Wynton Kelly, Bill Evans, Paul Chambers e Jimmy Cobb. Quale potrebbe essere la peculiarità di questo gruppo, oltre ad essere composto da musicisti tra i più importanti della storia del jazz? Erano tutti neri ad eccezione del pianista Bill Evans.

All’epoca, per il pensiero comune americano, il jazz era una musica per negri: i bianchi si limitavano solamente ad ascoltarla dalle formazioni afroamericane, considerandola una musica per prostitute e drogati, e negli stessi jazz club erano ammessi solamente bianchi, mentre i neri erano semplicemente degli artisti considerati alla stregua di un juke-box.

Tutto ciò era lo specchio della società americana: era presente una netta segregazione razziale, dovuta ad un forte carattere razzista da parte dei bianchi americani nei confronti dei neri. Gli afroamericani, discendenti di quegli africani portati in America per lavorare nelle piantagioni di cotone, erano considerati inferiori, come se la condizione di schiavitù dei loro avi fosse ancora valida, nonostante fosse stata abolita il 18 dicembre 1865 tramite il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America.

La partecipazione di Bill Evans a questo album è importantissima per due motivi: uno puramente musicale e uno sociale. Il motivo musicale è legato all’importante conoscenza teorica della musica, che ha permesso all’album di percorrere strade che prima non erano mai state tracciate; il motivo sociale è proprio quell’ essere l’unico bianco all’interno di un gruppo di neri: con questa scelta, Miles Davis ha voluto andare oltre l’ideologia bianca americana, che vedeva le band jazz come un conglomerato di neri che suonavano per il piacere dei bianchi.

Ma perché Davis decise di abbandonare il bebop, per essere più specifici, l’hard bebop, che in quegli anni spopolava, per dedicarsi al jazz modale? Fece questa scelta in virtù della musicalità che nell’hard bebop veniva un po’ a mancare: il genere ormai era diventato uno show di improvvisazione ad altissima velocità e di conseguenza, secondo Davis, veniva a mancare una melodia precisa, una linea che potesse trascinare l’ascoltatore in un viaggio extrasensoriale.

Il jazz modale di Kind of Blue invece si rifà moltissimo alla sperimentazione e al trasporto dell’ascoltatore: i tempi sono molto più lenti rispetto all’hard bebop, le armonie sono costruite principalmente su scale modali, abbandonando in parte l’idea del tonale, e le melodie sono più di qualità che di quantità, il che vuol dire che venivano preferite melodie meno virtuose, cioè venivano suonate meno note, e più sperimentali, dove l’artista andava alla ricerca continua di soluzioni in grado di sorprendere l’ascoltatore, arrivando a toccare i lati più intimi delle proprie emozioni.

Breve in termini di tempistiche (45 minuti circa), l’album presenta cinque brani:

  • So What, uno dei più apprezzati brani jazz della storia. La peculiarità che si può notare subito è che il tema viene esposto dal contrabbasso, suonato da Chambers, cosa davvero rara ai tempi, il tutto seguito da una progressione armonica identificabile nel modo dorico, Re nella sezione A, Mi bemolle nella sezione B, e da un’improvvisazione di tromba da parte di Miles Davis ritenuta da molti come uno degli assoli migliori nella storia della musica jazz.
  • Freddie Freeloader, brano che per struttura armonica si allontana dal mondo del jazz modale per abbracciare i mondi blues e gospel. In questo brano, per ottenere una sonorità più blues, Miles si affida al piano a Wynton Kelly, che sostituisce momentaneamente Bill Evans per due ragioni: la prima è che, secondo Davis, Kelly potesse creare un mood decisamente migliore di Evans in quanto veniva considerato un vero esperto di blues e swing; la seconda, anche se da molti non è considerata vera, è che Davis venne accusato di tradimento nei confronti dei musicisti neri a favore di Evans, bianco, per cui optò per un gruppo total black per questo brano. La decisione di creare un brano riconducibile alla scena blues non è casuale: il titolo, che tradotto significa Freddie lo scroccone, è un chiaro riferimento a un vecchio amico di Miles di Philadelphia, e per richiamare musicalmente la città ha optato per questo genere. Probabilmente vi starete chiedendo: perché proprio Philadelphia? Per farla breve, la città venne fondata nel 1682 da William Penn con la speranza che i suoi cittadini potessero vivere in totale libertà e tolleranza religiosa, da cui anche il nome Philadelphia che deriva dal greco phílos, cioè amore, e adelphós, cioè fraterno, e Davis la pensava esattamente come Penn in materia di integrazione e di convivenza senza più barriere o discriminazioni tra bianchi e neri.
  • Blue in Green, un brano che porta all’apice la visione più spirituale e metafisica della musica di Davis. Oltre a Davis il brano è stato composto insieme a Bill Evans, accreditato ufficialmente, per cui ci troviamo di fronte ad un brano scritto a quattro mani da due immensi artisti che portano la creazione di un viaggio ultraterreno all’ennesima potenza. Questo effetto è ottenuto sia grazie alla tecnica strumentale degli artisti sia grazie alla progressione armonica del brano: nel primo caso, la leggerezza con cui vengono suonati gli strumenti ci dà questa impressione di interiorità e di struggente malinconia, quasi come se questo racconto ci venisse sussurrato nelle orecchie sia con dolcezza sia con un certo senso di tristezza, nel secondo caso la scelta di utilizzare un tempo largo, il brano è una ballad, con accordi che non portano a creare tensione ma bensì suspense. Si muove di toni e quarte/quinte, mai di terze e semitoni, tranne il Si bemolle che tende a La nel mezzo della progressione, quasi a dividere quest’ultima in due.
  • All Blues, la cui struttura è chiaramente comprensibile dal titolo, ossia le tradizionali 12 misure del blues, con la peculiarità di essere scritto in 6/8, anch’esso, come So What, in modo dorico. La scelta non è casuale: sia il modo dorico sia la scala blues sono accomunati dalla terza e dalla settima minore, e Miles Davis gioca proprio su questa particolarità per creare un ambiente incredibilmente sospeso ed intimo, giocando con la ritmica da valzer della batteria.
  • Flamenco Sketches, il brano modale per eccellenza dell’album. Ascoltando l’armonia, si possono riconoscere ben cinque differenti modi utilizzati durante la composizione: Do Ionico, La Bemolle Misolidio, Si Bemolle Ionico, Sol Minore Armonico con Re Frigio Dominante, Sol Dorico. Grazie ad un ritmo lento e all’utilizzo della scala frigia si ottiene un ambiente spagnoleggiante che crea un vero e proprio pathos con l’ascoltatore. Questo brano è solamente un assaggio delle ricerche compositive che Davis intraprenderà dopo questo album.