Scozia breve in libertà.
Testo di Alessandro Morandini, Luisa Fazzini e Agostino Falconetti.
Il valore di un viaggio è nella qualità dei ricordi che la memoria seleziona. Quando ci siamo messi a tavolino a progettare la nostra Scozia breve in libertà abbiamo compreso che ci stavamo regalando una sfida: rendere non usuale un itinerario noto e di facile realizzazione. Ci conosciamo da tanti anni, lavoriamo insieme, ma mai abbiamo condiviso un’esperienza simile. Quando siamo tornati abbiamo capito che eravamo riusciti nell’intento. Pescando tra i nostri ricordi vi raccontiamo perché.
Alessandro. Ricordo ancora il sobbalzo. Chiamato in presidenza! Ma come? Non ci ero mai finito da studente, e mi tocca da insegnante? Avevo appena terminato la mia giornata di scuola, e il collaboratore scolastico mi aveva annunciato con una certa ansia che ero atteso in presidenza. Cosa diavolo mai era successo?
Scendo le scale, corridoio, porta, busso, entro. Agostino mi guarda, e mi chiede a bruciapelo: “Se restringiamo il campo all’Europa, dove proporresti di realizzare un viaggio?”
Queste parole mi sono entrate nelle vene e nei circuiti mentali. In pochi istanti (e tappe bellissime), ho raggiunto un obiettivo: Mediterraneo… Corsica… no, troppo a Sud. Baltico, fiordi Norvegesi… splendido, ma voglio natura e cultura d’impatto… Mare del Nord… Orcadi!
E così propongo: perché non esplorare la Scozia? Ci sono già stato, so come ci si muove, l’ho studiata da archeologo, conosco posti davvero speciali e fuorimano. E posso disegnare, per qualsiasi tappa si possa pensare, un itinerario.
Proprio quel giorno l’avventura è cominciata: ciascuno di noi tre si sarebbe preso un aspetto da sviluppare, in base alle proprie capacità e al proprio sentire, alla scoperta della Scozia.
Agostino. Così ci troviamo in un mattino d’estate sul volo per Edimburgo con un bel gruppo disposto alla sorpresa e con il programma Scozia breve in libertà completamente stravolto. Perché?
Perché vogliamo essere curiosi e cercare, perché vogliamo mistero e scoperta. Vogliamo rileggere in modo nuovo un Paese, unendo le esperienze di viaggio di un vecchio coordinatore come me, le conoscenze di Alessandro, un archeologo che ti sa raccontare il passato con la meraviglia di un appassionato testimone oculare, le vie del gusto di Luisa, consigliere nazionale di Slowfood, e la sua ricerca di atmosfere che lei insegue nei libri ancor prima di partire.
Dove? Isole Orcadi: lontani dal tempo e dal mondo, uno stimolo irresistibile. Sarà una bella sfida.
Luisa. Il lusso del tempo. Il tempo lo si infila nello zaino ancora prima di partire. Cominciare a guardare con gli occhi di chi vive nel luogo in cui andrai. Avere già una direzione di sguardo per cogliere più rapidamente e per dilatare i giorni che ti sei concessa, con i libri, durante il viaggio e al ritorno.
La costruzione delle atmosfere è fatta di incontri. Virtuali e reali. In un locale delle Orcadi mangiavo una fetta di torta fatta in casa e sfogliavo una pubblicazione Le cose perse: foto di abitanti delle isole con in mano un oggetto e il racconto del ritrovamento. Riconosco una giovane donna bionda con una minuscola statuetta bianca priva della testa tra le mani. Avevo già letto di quell’oggetto. Un carico naufragato due secoli fa. Me ne aveva parlato lei, Amy Liptrot: le sue Orcadi, che io conoscevo perché prima di partire avevo viaggiato tra i paesaggi che descrive ne Le isole estreme. Amy mi aspettava a quel tavolo, al mio arrivo, per ricordarmi cosa dovevo trovare in quei luoghi. Istintivamente ho sorriso all’immagine della carta patinata, ho guardato i compagni di viaggio e ho presentato la scrittrice. Le Orcadi mi avevano accolta.
Agostino. Mentre osservo le reazioni dei miei due amici e sorrido nel sentire Alessandro ripetere in continuazione al gruppo “… ma è meraviglioso!” e nel vedere Luisa con lo sguardo saturo di sensazioni dell’anima, mi ripeto soddisfatto che sì, si può andare oltre la visione comune del viaggio meramente turistico in Europa e che c’è ancora uno spazio per un rapporto autentico tra natura, storia, avventura vera e viaggiatore. E da qui parte la mia storia di questo viaggio. Voglio far capire al mio gruppo come entrare in contatto con l’autenticità di un luogo e come conoscere l’intimità e la vita delle persone che vi abitano. Comincio la prima sera, con la scelta di dare un senso al pernottamento, diversificando poi notte per notte il tipo di alloggio, soggiornando in strutture usate dai locali e case comuni: un college universitario immerso in un parco – come direbbe Alessandro – meraviglioso, un appartamento abbarbicato sopra l’unica osteria di un piccolo paese di passaggio, una signorile dimora di campagna, una fattoria persa nel silenzio delle Orcadi, un appartamento ricercato in centro a Stromness dominato da un finestrone sul porto, una soffitta nel centro di Edimburgo. Ogni letto ci ha raccontato un pezzo di vita, ci ha fatto alzare infilando le scarpe di chi quei luoghi li vive quotidianamente. Siamo stati studenti, proprietari terrieri, fattori, abitanti di città di mare, cittadini dei piani meno nobili.
Alessandro. Qui viene il bello, però: il problema maggiore era quello di costruire un viaggio adattabile a un’utenza che non conoscevo. La mia coscienza di game designer autodidatta mi è venuta in aiuto. Quali possono essere i bisogni e le richieste di un viaggiatore che vuole visitare la Scozia? Chiunque abbia davanti, mi dicevo, non deve annoiarsi; e per non annoiarsi dovrà entrare nelle trame del paesaggio, fondersi con esse, recepirne i linguaggi, raccogliere qualcosa di essenziale e significativo da fare proprio e interiorizzare. Avrei potuto fornire a tutti questa possibilità? Quale la ricetta? Si trattava di costruire percorsi significativi. Non solo belli da vedere o interessanti.
Il secondo aiuto mi è giunto dalla mia esperienza di docente. Sono intimamente convinto che l’attività di apprendimento debba essere per tutti una sorta di esperienza sciamanica, ossia un trasformarsi e viaggiare in luoghi e tempi diversi spinti da stimoli appropriati proposti al momento giusto, per poi ritornare forti, rinvigoriti, guariti, cresciuti. Il combustibile più adatto è il piacere. Come docente e game designer mi affido spesso a progettare una meccanica del piacere nelle attività formative: le persone sono spinte a giocare perché hanno voglia di divertirsi, raggiungere determinati obiettivi, avere esperienze significative, fare scelte, cambiare modo di vedere, trasformarsi… e imparare non è la stessa cosa?
Il resto è venuto da sé: ho scelto dei paesaggi tipo per dare un’esperienza di Scozia che fosse Scozia; e all’interno di questi paesaggi ho cercato elementi di valore paesaggistico e culturale che avessero un forte impatto sulle coscienze dei visitatori. Infine, a un livello superiore, ho cercato di armonizzare tra di loro tutti questi elementi, creando una trama, uno schema, che desse al viaggio stesso un equilibrio e un aroma suo proprio. Quello che ti resta dentro una vita intera quando sei tornato.
Infine ho inserito l’ultimo ingrediente, ma anche il più importante: la libertà. Qui la scelta di campo era forte, e molto personale: ma non posso accettare di costruire un viaggio-gabbia, intrappolato nei meccanismi degli orologi. Questo viaggio doveva avere un aspetto naturale, spontaneo. Una struttura sicura e coerente, ma aperta alle possibilità, agli imprevisti, ai nostri umori.
Luisa. Ho fatto delle foto alle finestre. Dall’interno all’esterno. Per fissare gli spazi diversi che entravano nell’anima. La mia ricerca dei piaceri gastronomici è una semplice estensione concreta dell’uso in viaggio di tutti i cinque sensi. Mi piace intercettare, percepire, portare dentro me stessa quanto riesco ad avvertire della diversità dei luoghi che mi circondano rispetto al mio quotidiano. I sapori sono l’aspetto più facile da catturare, poi c’è tutto l’esercizio dell’empatia geografica. Non cosa hai visto, ma con che cosa sei entrata in contatto. E ho cominciato facendo le foto alle finestre. Due mi sono rimaste nel cuore. La finestra della camera nella fattoria delle Orcadi, strapiena dei miei oggetti un po’ lanciati e ben mescolati a quelli della padrona di casa, e fuori i cavalli, le pecore, il vento, il verde, le terre solitarie di questa manciata di isole gettate nell’Oceano. E la finestra della cucina della soffitta di Edimburgo con la vita cittadina che brulicava di sotto, le auto, le scie delle luci, e noi lassù a dominare la città cucinando insieme spaghetti e risate.
To be continued…