Il post-hardcore

6 Aprile 2019

Se urli, non per forza sei uno squilibrato

Partiamo dal presupposto che se un genere musicale contiene la parola post, automaticamente diventa difficile da identificare e nessuno sa più bene di cosa si stia parlando… Aggiungiamo il fatto che l’altra parola contenuta nel nome è hardcore e la frittata è fatta.

Per fare un po’ di luce sulla questione partirei dall’etimologia del termine: quando diciamo post hardcore intendiamo un qualcosa che si sviluppa dall’hardcore ma ne mantiene ancora delle caratteristiche, quindi in linea teorica potremmo partire identificando quali siano le caratteristiche del punk hardcore. In sostanza? È come il punk ma più veloce ed aggressivo.

La scena hardcore, anche se in parte a causa dei media e della loro errata rappresentazione del genere, stava involontariamente diventando sempre più immischiata con la violenza finendo con l’attirare teppisti e delinquenti attratti dalla prospettiva distorta di questa cultura. I progenitori della scena infatti erano tutt’altro che tali, basti vedere le correnti anarco punk e straight edge che, rifiutando totalmente la visione dei primi punk, aderivano ad uno stile di vita salutista, ambientalista, animalista e talvolta pacifista, vegetariano o vegano, ed erano quindi infelici e preoccupati per le forme future del punk hardcore.

Così, nei primi anni ’80, diverse band negli Stati Uniti hanno preso vita ispirandosi alla stessa etica D.I.Y. (Do It Yourself, in italiano “fai-da-te” anche se suona molto IKEA) dei loro predecessori, etica secondo la quale, rifiutando la cultura del consumatore e legandosi alla stessa ideologia punk, ci si può esprimere e produrre con mezzi limitati, evitando le strutture sociali consolidate, registrando la propria musica, producendo i propri album e il merch, distribuendo e promuovendo le proprie opere in modo indipendente al di fuori del sistema dell’industria musicale e al di fuori dei tradizionali parametri commerciali; siamo a tutti gli effetti nel mondo dell’underground.

Sempre traendo spunto dai predecessori, queste nuove band, chiamate successivamente post-hardcore, hanno basato la loro musica sulla stessa aggressività e dinamica dell’hardcore punk, ma sfruttando modalità più complesse e dinamiche di sfogo, uscendo dall’unica regola precedentemente creata suona forte e veloce: complicavano ed allungavano gli arrangiamenti, usavano più di tre accordi e soprattutto, citando All Music, “cercavano modi un po’ più creativi per far fluire la tensione nella musica e nella voce piuttosto che arieggiare la loro biancheria sporca in brevi, acuti e frenetici scoppi”.
Molti dei cantanti di queste nuove band erano tanto propensi a consegnare i loro testi con un sussurro quanto un urlo e, sempre uscendo dai vincoli dell’hardcore, si sono espansi anche al di là dei powerchord e dei cori sguaiati, incorporando più sbocchi creativi per l’energia che il punk portava con sé.

Si può dire che tutto questo bisogno di cambiamento si incominciò ad avvertire nell’estate del 1985 quando un movimento sociale, la cosiddetta Revolution Summer prese piede a Washington DC, proprio dove l’hardcore si era diffuso a tal punto che aveva preso il nome di HarDCcore.
Questo movimento è stato guidato da gruppi associati
all’etichetta indipendente Dischord Records, fondata dal cantante dei Minor Threat, Ian MacKaye. Secondo loro, la violenza e il nichilismo che si erano, identificati con il punk rock, in gran parte a causa dei media, avevano cominciato a prendere piede a Washington e molti dei vecchi punk si sono improvvisamente sentiti respinti e scoraggiati dalla scena della loro città; questo portò ad un “tempo di ridefinizione”.

In questo periodo iniziò a formarsi una nuova generazione di band tra cui i tanto sconosciuti quanto fondamentali per l’evoluzione del genere Rites Of Springs, un gruppo il cui primo, omonimo, album aveva proprio lo scopo di allontanarsi da ciò che c’era stato prima; all’ascolto si riesce chiaramente a capire cosa hanno preso dall’hardcore e cosa hanno lasciato fuori: stessa velocità ed intensità ma senza il tentativo di dimostrare a tutti “chi l’avesse più grosso” aggiungendo melodie qua e là e sentimenti nei testi.

I Rites Of Spring furono un fenomeno di breve durata ma dalle loro ceneri il frontman Guy Picciotto formò nel 1987 insieme ad Ian MacKaye una delle band più importanti della scena, i Fugazi.
Sempre in questo periodo si formarono numerose altre band a Washington (e non solo) tanto che per la Dischord Records fu il momento più affollato di sempre e venne costretta ad ampliare il proprio stabilimento (scherzo, semplicemente spostarono le operazioni riguardanti la distribuzione di band locali fuori dalla Dischord House, una casa-collettivo punk con una sala prove in cantina in cui si erano stabiliti nel ’81. D’altronde, siamo pur sempre nel mondo underground, no?). Venne anche pubblicato nel 1989 la compilation State Of The Union per documentare il nuovo sound della scena punk anni ’80 di Washington.

Nel 1990 i Fugazi pubblicano Repeater, uno delle pietre miliari del genere e mentre la popolarità del gruppo continua a crescere iniziano loro mal grado ad essere definiti come hardcore emotivo o emocore, successivamente abbreviato con emo, che aprì la strada ad una nuova generazione di band. Inutile dire quanto poco sia azzeccato questo nome dato che sia Ian MacKaye che Guy Picciotto, praticamente gli inventori del genere, lo disprezzano, anzi, quest’ultimo precisa in un’ intervista del 2011: ”Beh, prima di tutto, non riconosco questa attribuzione. Non ho mai riconosciuto l’emo come un genere musicale. Ho sempre pensato che fosse il termine più ritardato di sempre. Ogni band che viene etichettata con quel termine lo odia. Si sentono scandalizzati da questo. Onestamente, penso semplicemente che tutte le band in cui io abbia suonato fossero gruppi punk rock. Il motivo per cui penso che sia così stupido tutto ciò è che, scusate, intendete dire che i Bad Brains (un gruppo punk hardcore) non erano emotivi? Cos’ erano robot o qualcosa del genere? Questo non ha alcun senso secondo me.”

Durante gli anni ’90, il post-hardcore si stava rapidamente evolvendo in tangenti che sconfinavano da Washington D.C. Nuove band sorsero (es. Shellac, Slint, Drive Like Jehu, The Jesus Lizzard) ispirandosi ancora di più a questa nuova forma di musica che era meno ristretta e molto più creativa. L’impatto fu di vasta portata, investì tutti gli Stati Uniti mutando forma e mescolandosi a generi diversi, aprendo nuovi orizzonti (non erano più confinati in scene specifiche) anche se non riuscendo, forse anche volontariamente, a trovare il successo commerciale.
Non che sia una novità in quest’ambiente, giusto?

O forse no…

In questo periodo il mondo stava cambiando ed i media e il mainstream avevano identificato la musica underground indipendente come l’attuale pollo da spennare. Come mai? Perché era il 1991 ed il mondo era venuto a conoscenza dei Nirvana attraverso l’album Nevermind.
Di conseguenza anche i Fugazi, che erano la più grande band nell’underground dell’epoca, attirarono subito l’interesse delle major e, nonostante la loro ammirevole coerenza gli impose sia di rimanere alla Dischord che di mantenerne la proprietà, non poterono impedire ad altre band del loro stesso rooster di andarsene.

Da questo momento una parte del post-hardcore è entrato in contatto con il mainstream ed ha iniziato a mescolarsi sempre di più con il pop e sempre meno con l’hardcore originale. Potrei farvi una lunga lista di band sempre più diluite con il pop fino ad arrivare agli anni 2000 (gli anni del Nu Metal) quando il post hardcore si mescolò arrivando a confondersi con il metal diventando metalcore. Da adesso le band iniziano a nutrirsi con la fama, diventano pigre e iniziano a rifugiarsi in composizioni sempre più sicure mantenendo la creatività al minimo e mettendo da parte il proprio sound individuale.

Grazie al cielo, come tutte le mode, anche il tempo del post-hardcore finisce. Finalmente il pubblico si stanca di band con componenti pelle ed ossa e dalle voci piagnucolose. I più affezionati rivolsero la loro attenzione ad una nuova generazione di band che manteneva fede alle origini del genere e non aveva paura di sperimentare incorporando più recenti influenze sonore nella propria musica.

Con una rinnovata enfasi su testi intimi, arrangiamenti innovativi, strumentazione diversificata e un’enorme dose di energia, queste band erano un’antitesi di ciò che il post-hardcore era diventato alla fine degli anni 2000, riacquistando la propria indipendenza e riavvicinandosi a quello dell’origine, prima che venisse sventrato, riempito di gomma piuma e modellato a forma di orsetto così che le quindicenni potessero aver voglia di acquistarlo e tenerlo sul letto.

Quindi è a causa di questi continui cambiamenti che al giorno d’oggi la definizione di post-hardcore è così vaga, così tanto da unicre nella stessa categoria band come i Slint e gli Escape the Fate, band che non so se abbiate presente ma è come paragonare (più per rapporto che come paragone diretto, si parla di valore intrinseco e culturale, non di gusto personale) un Picasso ad uno starnuto sul muro.
Si può dire che questa mancanza di definizione del post-hardcore sia dovuta al fatto che negli anni novanta, con la nascita del World Wide Web e della distribuzione digitale, nacque dal nulla anche l’esigenza di etichettare gruppi che prima non avevano mai pensato di farlo e per questo sono stati arbitrariamente messi tutti in un unico calderone.

È necessario stare attenti quando si parla di post-hardcore: se ne parli con la consapevolezza dell’hardcore punk e della musica sperimentale, probabilmente ne parlerai bene, se sei un metallaro o un fan del rock che ha poca idea della musica punk, tendendo ad associarlo ai gruppi metalcore moderni probabilmente ne parlerai male, se hai letto quest’articolo e non solo le ultime 2 righe, ne parlerai con cognizione di causa.