Un viaggio indietro nel tempo, ad esplorare un genere e un artista forse poco noti ai più, ma fondamentali nella storia della musica jazz.
Luca Fagagnini ci racconta la storia di Django Reinhardt, musicista coraggioso che ha superato brillantemente un incidente menomante e che, grazie alla musica, è sopravvissuto alle tragedie della Seconda Guerra Mondiale.
Django Reinhardt: vita, salvezza e miracoli
di Luca Fagagnini – @LukeFaga
Molto probabilmente, se al giorno d’oggi uscissi per strada e chiedessi ad un ragazzo qualunque se conosca un certo Django Reinhardt, quello ti direbbe che sbagli: si chiama Django Unchained ed è stato un film di grandissimo successo!
E’ vero che il jazz, in qualunque sua forma, è un genere considerato di culto, difficile e per questo meno conosciuto dalla gioventù, che preferisce le cose semplici e superficiali, ma, se venisse fatto ascoltare Minor Swing, quel ragazzo direbbe “Ah si! L’ho già sentita!”, nonostante siano passati ormai una cinquantina di anni da quando la canzone è stata composta. Rimane un capolavoro gipsy jazz senza età.
Jean (Django) Reinhardt era un chitarrista gipsy (genere musicale tradizionale dei gruppi nomadi francesi), nato in Belgio nel 1910 in una famiglia di nomadi manouche (termine francese per definire il gruppo di nomadi Sinti) e già da piccolo aveva un talento prodigioso: all’età di 13 anni suonava già con gli artisti di strada a Parigi, dove ha vissuto per parecchi anni con la famiglia.
All’età di 18 anni era già un banjoista stimato, ma la sua carriera come tale fu troncata da un incidente alla sua roulotte. Nel 1928 infatti questa prese fuoco ed il musicista ne uscì riportando gravi ustioni, soprattutto alla mano sinistra, della quale perse l’uso dell’anulare e del mignolo.
Nonostante l’incidente, però, non abbandonò la musica: costretto a mettere da parte il banjo, imparò a suonare la chitarra, più leggera e maneggevole, sulla quale creò e sviluppò una tecnica chitarristica tale da permettergli di suonare nonostante la menomazione.
Grazie a questa nuova tecnica, in breve tempo tornò a suonare assieme a diverse orchestre a Parigi, ispirato dalla novità del jazz, portato soprattutto dai soldati americani durante la Prima Guerra Mondiale, finché, nel 1934, conobbe il violinista Stéphane Grappelli, con il quale formò un quintetto di strumenti a corda: Le Quintette du Hot Club de France.
Questa fu la prima orchestra jazz formata da soli strumenti a corda (due chitarre ritmiche, un violino, un contrabbasso e chitarra solista) e la crescita della sua fama venne aiutata dall’appoggio di una delle prime associazioni promotrici del jazz in Europa: l’Hot Club de France.
Il nuovo genere che venne a crearsi ebbe subito un enorme successo: la musicalità delle melodie tradizionali gitane derivata dall’essenza di Django, unita alle progressioni, le sonorità e lo stile jazz diedero vita al gipsy jazz. La musica era nuova, precisa, elettrizzante, ma anche leggera, dotata di una carica tale da diventare presto famosa in tutta Europa, trascinando nella sua fama anche Django, il quale fu addirittura invitato in America da Duke Ellington, uno dei più noti artisti jazz di sempre.
Con l’avvento del bepop e delle innovazioni tecnologiche dell’epoca, come la chitarra elettrica, Django dimostrò una grandissima elasticità mentale, integrando il nuovo genere nelle sue composizioni.
Django morì improvvisamente nel 1953 all’età di 43 anni, sembra per una malattia comune e curabile, come l’influenza.
Guardando alla sua vita si potrebbe pensare che, a parte l’incidente della roulotte, Django abbia avuto un’esistenza felice, ricca di emozioni, fama, gloria e innovazioni, ma non è così. Se si analizza il periodo storico in cui si inserisce la figura di Django (1910 – 1953), si nota subito che il chitarrista zingaro ha vissuto esattamente durante le due guerre mondiali.
Più che alla prima, se si guarda alla Seconda, una domanda sorge spontanea: in un periodo storico in cui il regime nazista si attuava per la supremazia della razza ariana, eliminando le etnie ritenute inferiori, come è sopravvissuto un uomo come Django, famoso nomade e zingaro?
Durante la Seconda Guerra Mondiale sia i nomadi che la musica jazz (considerata come il frutto di una combinazione di neri ed ebrei) venivano presi di mira dal regime nazista. Il solo ascolto di una registrazione poteva essere un’accusa per finire in un campo di concentramento.
Prima dello scoppio della guerra Django si trovava in tour in Inghilterra, ma una volta iniziati gli scontri, rientrò a Parigi, da dove più volte tentò di espatriare in Svizzera senza successo. Parigi, dopo l’occupazione tedesca, veniva utilizzata dai soldati nazisti come luogo di relax, dove potevano trovare donne, vino e musica.
Django sopravvisse grazie alla musica. Molti soldati tedeschi, nonostante le direttive dettate dal Kaiser, adoravano la musica jazz, e questo culto superava le loro convinzioni politiche al punto da proteggere Django e, in generale, i musicisti Jazz.
Certo, questa ‘protezione’ era molto precaria e dipendeva dalla fortuna di trovare i soldati giusti, però è interessante notare come anche in situazioni critiche la musica abbia potuto addirittura salvare delle vite.
Django sopravvisse perché i nazisti amavano la musica Jazz, contro la censura di Hitler stesso. Il che è tutto dire.