Nell’ambiente jazz vediamo frequentemente usare, dai batteristi, un particolare tipo di bacchette note con il nome di spazzole e, come vedremo a breve, poche cose hanno una storia così particolare.
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 una piaga, tutt’ora esistente, affliggeva la vita quotidiana delle persone, nell’intimità delle loro stesse case. Questa piaga portava, e tutt’ora porta, il nome di mosca. Un insetto malefico, ultimo elemento della diretta progenie di Satana e regalatoci dallo stesso per infastidirci nel profondo, invadendo i nostri piatti e rompendo il silenzio nei momenti di relax con il suo fastidioso ronzio.
Al tempo la scienza, nel campo della chimica, non ci aveva ancora regalato attrezzi di sterminio come i veleni spray e le luci elettrificate, quindi il metodo più comune per tentare di liberarsi dall’eterno fastidio di queste bestie era il vecchio, ma sempre funzionale, giornale arrotolato utilizzato come clava. Il problema di questa tecnica, oltre al fatto che presupponeva una preparazione fisica e atletica notevole da parte del fruitore, era che, una volta compiuto il violento agguato al maledetto insetto che dopo ore di volo si era dolcemente appoggiato su di un muro, la sua memoria rimaneva indelebile sulle pareti e superfici dell’abitazione.
Per anni si sperimentarono diverse tecniche e metodi per risolvere questo problema e combattere l’epidemia senza dover passare le poche giornate libere ad imbiancare nuovamente le pareti delle case, finché nel 1895, con grande lampo di genio, Julian Bigelow, a Worcester nello stato del Massachussets in America, sviluppò il suo innovativo prototipo di moschicida, noto con il nome di fly-killer.
Quest’innovativo oggetto, illustrato nell’immagine presa dal Registro dei Brevetti degli Stati Uniti d’America, funzionava esattamente come il giornale arrotolato ma, grazie alla sua particolare struttura di filamenti metallici, uccideva la mosca lasciandola intatta.
Ovviamente questo primo prototipo si evolse poi nel tempo, per risolvere i diversi difetti come la sua poca longevità, ma questa è tutt’altra storia da quella che vi voglio raccontare.
Storicamente il primo utilizzo di quest’utensile moschicida sulle pelli di una batteria non è ben definito. Alcuni riconducono quest’avvenimento all’influenza che ebbe l’alcool su alcune jam session tra musicisti, mentre altri ne rivendicano l’idea come propria. Questo è il caso del musicista Ferdinand ‘Jelly Roll’ Morton, eccezionale pianista cresciuto tra i bordelli di Storyville, il quartiere a luci rosse di New Orleans, poi diventato icona del jazz attorno al 1920, o, come a noi miscredenti del jazz piace identificarlo, quello che salì sulla nave da crociera per sfidare Novecento al pianoforte nel monologo teatrale di Alessandro Baricco.
Morton, infatti, rivendicò l’idea come sua in una lettera scritta a Downbeat Magazine e pubblicata dalla stessa nel settembre 1938, raccontando che quando suonava a Los Angeles, verso la fine del 1910, aveva un batterista che suonava il rullante talmente forte che una sera gli diede un paio di fly-killer per scherzo, il batterista stette al gioco e suonò con questi e si accorse che funzionavano talmente bene e dolcemente che continuò ad usarli. Vero o no, Morton viene comunque identificato come colui che introdusse le spazzole al mondo del jazz e a testimonianza di questo vi è una registrazione che fece con Warren ‘Baby’ Dodds, nel 1927, riconosciuta come una delle prime in cui la batteria viene suonata con le spazzole.
Tanti altri musicisti in realtà ne rivendicarono l’invenzione nel tempo, tuttavia ciò che è certo è che nel 1920 Ludwig&Ludwig, azienda ancora oggi nota per la produzione di strumenti musicali a percussione, ne iniziò la produzione presentandole col nome di “Jazz-Sticks”.
L’utilizzo di questo tipo di bacchette nel jazz fu rivoluzionario negli anni Venti. Queste particolari bacchette permisero ai batteristi di suonare anche a dinamiche incredibilmente basse e, con l’evoluzione delle diverse tecniche, introdussero quelle sonorità che anche oggi conosciamo come peculiari delle spazzole. Ricordando, inoltre, che fino agli anni ’30 non esisteva ancora il charleston come oggi lo conosciamo, i brani venivano principalmente accompagnati sul rullante e, con l’utilizzo di queste spazzole, si poteva raggiungere un suono incredibilmente dolce, come per esempio quello dato dallo strascico delle spazzole in un movimento circolare sulle pelli ruvide. Tutti questi colori, come già detto, aprirono un nuovo modo di intendere la batteria ed il modo di suonarla che, dalla seconda metà del ‘900 ad oggi, si sono evolute in tantissimi modi espandendosi anche ad altri generi, come per esempio l’utilizzo nella musica folk americana, in cui i brani spesso vengono accompagnati da ritmi reel utilizzando le spazzole come fossero bacchette normali, ottenendo così un particolarissimo colore che caratterizza quel tipo di accompagnamento.
Questo è solo un esempio dei diversi utilizzi di queste bacchette, ma la loro simpatica storia ci porta ad una domanda su cui riflettere con attenzione: cosa sarebbe stato dei bellissimi brani jazz, come per esempio Naima di John Coltrane o Yardbird Suite di Charlie Parker, senza le mosche?
Peter A. Leach
studente HND in Music